Il Credito d’imposta per l’innovazione tecnologica “green” e la necessità per le aziende di misurare gli obiettivi di transizione ecologica per la realizzazione di nuovi prodotti o processi

Negli ultimi anni sostenibilità e trasformazione digitale hanno assunto un ruolo sempre crescente, diventando i due driver predominanti nei processi innovativi di quasi tutti i settori industriali.

 

Nonostante la loro stretta interconnessione oggi largamente riconosciuta, innovazione e sostenibilità sono spesso state considerate come forze contrapposte: si riteneva infatti che le innovazioni industriali fossero tra le principali cause di consumo delle risorse naturali (non rinnovabili) con un effetto negativo, a volte inaspettato, sull’ambiente. Oggi innovazione e sostenibilità (nella sua accezione più ampia: sociale, ambientale ed economica) sono concetti tra loro collegati in maniera sempre più virtuosa e self-reinforcing: non solo le innovazioni possono fornire una riposta positiva ai problemi di sostenibilità ma, se supportate dal mercato, sono fonte di vantaggio competitivo.

Negli ultimi anni sostenibilità e trasformazione digitale hanno assunto un ruolo sempre crescente, diventando i due driver predominanti nei processi innovativi di quasi tutti i settori industriali. Il mercato e le dinamiche competitive stanno premiando le imprese che sono state in grado di assecondarli con successo e stanno penalizzando le imprese che, al contrario, li hanno ignorati.

La stessa Unione Europea, attraverso specifiche azioni di policy making, persegue l’obiettivo di incentivare l’attività di innovazione e di sviluppo delle tecnologie da parte delle imprese.

Anche il Governo italiano ha contribuito a finanziare misure di stimolo all’innovazione. Con il Piano nazionale Transizione 4.0 di cui alla Legge di bilancio 2020[1], in accordo con gli obiettivi proposti dalla Commissione Europea nel dicembre 2019 all’interno del Green Deal, è stato introdotto per la prima volta un meccanismo di incentivazione fiscale di maggiore premialità per supportare attività di innovazione tecnologica finalizzate al raggiungimento di obiettivi di transizione ecologica[2] da parte delle imprese.

Nella consapevolezza che la definizione e – soprattutto – la misurazione della sostenibilità sotto il profilo economico, sociale e di governance (ESG) rappresenti oggi la sfida più grande sia a livello di policy making che per i singoli operatori economici (imprese), ciò che viene proposto in questo approfondimento è una metodologia per l’appropriata caratterizzazione dei progetti aziendali di innovazione tecnologica cosiddetta “green” che risulti funzionale alla corretta quantificazione degli obiettivi in termini di performance “ecologica” dei nuovi prodotti, servizi e processi, all’interno del più ampio contesto delle attività ammissibili alla misura agevolativa Credito di imposta Ricerca, Sviluppo, Innovazione e design[3]. Tale necessità diventerà peraltro sempre più stringente data anche la recente proposta avanzata da parte della Commissione Europea per l’adozione di criteri comuni per contrastare il greenwashing e le asserzioni ambientali ingannevoli. Proposta secondo la quale le imprese che vorranno presentare una “autodichiarazione ambientale” riguardante i loro prodotti e servizi dovranno rispettare norme minime sulle modalità per suffragare e comunicare ai consumatori/utenti tali dichiarazioni[4]. L’obiettivo del legislatore europeo consiste quindi nel creare un contesto favorevole affinché le imprese che si sforzeranno per migliorare la qualità ambientale dei propri prodotti e/o processi siano più facilmente riconosciute e premiate dal mercato.

Le principali motivazioni alla base dell’intervento pubblico a sostegno della tutela ambientale e dell’innovazione.

E’ noto che una delle principali motivazioni che giustificano l’intervento della mano pubblica nella tutela dell’ambiente risiede nell’incapacità da parte del mercato di giungere ad una efficiente distribuzione delle esternalità negative legate all’inquinamento industriale.

La tutela dell’ambiente ed il Diritto Ambientale nascono, a partire dalla fine degli anni ’60, a seguito dell’emersione di un contesto sociale che, soprattutto nei paesi industrializzati, si pone in contrapposizione con il modello lineare di crescita economica illimitata che non tiene conto dei pesanti impatti che questo genera per l’ambiente. I movimenti ecologisti riconoscono, al contrario, la limitatezza di alcune risorse (prevalentemente quelle costitutive del cd capitale naturale) e la necessità di regolarne e distribuirne la fruizione. I rischi ambientali e l’efficacia delle attività di tutela e prevenzione prescindono tipicamente dai confini geopolitici, vi è pertanto l’oggettiva difficoltà di legare entro stretti confini le scelte di ogni paese in questo campo: sono pertanto di fondamentale importanza gli accordi internazionali che, sui diversi livelli, assicurano la presenza dei principi generali di tutela ambientale. D’altro canto, solo nelle costituzioni più recenti si trova una menzione esplicita all’ambiente tra i diritti e libertà costituzionali[5] mentre, partendo dal livello internazionale, nel 1972 l’ONU convoca a Stoccolma la prima Conferenza sull’Ambiente istituendo a Nairobi l’UNEP (United Nations Enviromental Program) con l’intento di monitorare gli effetti negativi dell’attività industriale (inquinamento) e di favorire la sensibilizzazione dell’intervento pubblico con proposte, politiche, linee guida sulla gestione della tutela ambientale: è la prima volta che viene ufficialmente riconosciuto che i problemi ambientali influiscono sullo standard di vita e che, in quanto temi di natura internazionale, necessitano di cooperazione per la loro soluzione. Per quanto riguarda l’ordinamento europeo, il Trattato di Lisbona, sottoscritto il 13/12/2007 ed entrato in vigore 01/12/2009, modificando il Trattato sull’Unione Europea (Maastricht 1993) ed il Trattato che Istituisce la Comunità Economica Europea (Roma, 1957), parla di una Unione Europea che si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa e per il miglioramento della qualità dell’ambiente[6]. Il Pacchetto Economia Circolare, contenente le comunicazioni

·       COM (2015) 614 – Closing the loop;

·       COM (2019) 640 – Il Green Deal europeo;

·       COM (2020) 98 – A new Circular Economy Action Plan

for a cleaner and more competitive Europe;

costituisce l’attuale evoluzione della strategia comunitaria che mira ad una crescita economica dissociata dall’uso delle risorse naturali (non rinnovabili). Venendo infine all’ordinamento nazionale, la prima istituzione di un dicastero preposto alla tutela dell’ambiente risale al 1986 (Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica) mentre con il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 è stato emanato il Testo Unico Ambientale (o Codice dell’Ambiente) che raccoglie tutte le norme nazionali in materia di tutela ambientale e gestione dei rifiuti. Nell’art.3 viene mutuata la famosa definizione del principio di Sviluppo Sostenibile contenuta nel Rapporto Bruntland (Our Common Future) con cui, nel 1987, la Commissione Mondiale Ambiente e Sviluppo (WCED) affermò la necessità di una solidarietà intergenerazionale nella salvaguardia della qualità dell’ambiente e delle condizioni di vita sulla terra.

Vi è un generale consenso nel ritenere che l’intervento pubblico nel settore dell’innovazione sia funzionale alla generazione di un ammontare di investimenti ottimale per la collettività. Questo aspetto è in effetti caratterizzato da un elevato grado di incertezza e di asimmetria informativa. Le imprese possono riscontrare difficoltà ad appropriarsi dei rendimenti dei loro investimenti in ricerca e sviluppo, dato che i risultati della ricerca hanno spesso caratteristiche di bene pubblico; le realtà più piccole e/o di nuova costituzione possono inoltre trovare maggiori difficoltà nel reperimento di fonti di finanziamento. In questo contesto, l’intervento pubblico si può manifestare sia direttamente sotto forma di investimenti pubblici, sia indirettamente attraverso il sostegno finanziario all’attività di R&S privata mediante sussidi diretti o incentivi di natura tributaria agli investimenti delle imprese private. Con riferimento ai diversi strumenti di intervento, i sussidi diretti sono generalmente utilizzati per finanziare specifici progetti che hanno un elevato rendimento sociale – come nel campo sanitario e della difesa – e che richiedono investimenti di lungo periodo, altamente rischiosi e con potenziali ricadute positive su diversi ambiti sociali e settori economici. Questi, in generale, dipendono da scelte discrezionali da parte dell’operatore pubblico (regionale, nazionale o comunitario) e sono soggetti a un’istruttoria e ad una valutazione di merito per la loro assegnazione alle imprese private. Gli incentivi fiscali invece hanno generalmente un approccio bottom-up, lasciando alle imprese la scelta e la definizione dei progetti di investimento. In questo caso si tratta di incentivare attività di R&S che hanno un potenziale sbocco sul mercato in tempi più brevi.

La maggior parte dei paesi OCSE prevede incentivi tributari alla spesa che riducono il costo effettivo degli investimenti in R&S a prescindere dai risultati che potranno essere effettivamente ottenuti. La finalità principale è di aumentare l’ammontare complessivo della spesa e quindi le esternalità positive che questa determina sul sistema produttivo in termini di innovazione e crescita. In generale, l’agevolazione può essere disegnata come una esenzione, una deduzione o un credito di imposta[7].

In Italia sono stati introdotti crediti di imposta a sostegno della spesa in R&S già dal 2003[8]. Queste agevolazioni sono state nel tempo progressivamente modificate fino all’introduzione di un nuovo dispositivo – più ampio e completo – dall’anno di imposta 2015[9] che supportava la spesa in R&S da parte delle aziende nel periodo 2015-2019. A partire dalla legge di bilancio per il 2020[10] questa disciplina è stata significativamente modificata con l’introduzione di un nuovo credito d’imposta pari a una percentuale (che si differenzia a seconda della tipologia di progetto) del totale della spesa sostenuta per investimenti in R&S, transizione ecologica e innovazione tecnologica 4.0 volti a rafforzare la competitività delle imprese. Questa misura si differenzia dalle precedenti perché interessa un più ampio perimetro di spese ed una più vasta gamma di tipologie di progetti agevolabili.

L’incentivo fiscale nazionale a supporto dell’innovazione tecnologica.

Per una chiara rappresentazione delle novità introdotte nella disciplina nazionale a supporto degli investimenti in R&S ed innovazione sostenuti delle imprese a partire dal 2020, vale la pena riferirsi alla pubblicazione delle linee guida attuative della misura agevolativa da parte del Ministero dello Sviluppo Economico presenti nel decreto 26 maggio 2020[11]. Nell’articolo 3 vengono infatti definite come ammissibili al credito di imposta le attività di innovazione tecnologia di cui al comma 201 dell’articolo 1 della legge 160/19, individuate e classificate “tenendo conto dei principi generali e dei criteri contenuti nelle linee guida per le rilevazioni statistiche nazionali sull’innovazione elaborate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE, Manuale di Oslo 2018)”[12]. Viene pertanto operata una sostanziale distinzione fra progetti caratterizzabili come R&S[13] per i quali, come abbiamo visto, va applicato un criterio di classificazione e valutazione secondo i parametri definiti dal Manuale di Frascati, e progetti di innovazione tecnologica finalizzati alla realizzazione o all’introduzione di prodotti o processi nuovi o significativamente migliorati, rispetto a quelli già realizzati o applicati dall’impresa”.

Il testo normativo sopra riportato evidenzia chiaramente le seguenti importanti novità introdotte a partire all’anno fiscale 2020:

·       Netta distinzione fra progetti di R&S – che “perseguono un progresso o un avanzamento delle conoscenze o delle capacità generali in un campo scientifico o tecnologico– e progetti di Innovazione tecnologica che hanno come obiettivo “il progresso o avanzamento delle conoscenze o delle capacità proprie di una singola impresa”. Cambia quindi il riferimento di partenza: da una parte (R&S) bisogna dimostrare di aver innovato lo stato dell’arte in un determinato contesto scientifico/tecnologico, dall’altra (Innovazione tecnologica) basta innovare rispetto a quanto già espresso da parte della singola azienda.

·       Chiara introduzione dell’eleggibilità dei progetti che abbiano un obiettivo di innovazione di processo accanto a quelli per i quali venga perseguita una innovazione di prodotto.

Quest’ultimo aspetto è ulteriormente ribadito ed approfondito quando si parla della maggiorazione dell’aliquota del credito di imposta prevista dal dispositivo agevolativo[14] riservata a due specifiche categorie di progetti di innovazione tecnologica:

1.   Progetti finalizzati al raggiungimento di obiettivi di innovazione digitale 4.0;

2.   Progetti finalizzati al raggiungimento di obiettivi di transizione ecologica.[15]

Per quanto riguarda questi ultimi, oggetto specifico del presente approfondimento, si parla esplicitamente di attività volte alla trasformazione dei processi aziendali secondo i principi dell’economia circolare così come declinati nella comunicazione della Commissione Europea (COM 2020) 98 dell’11 marzo 2020,  il piano d’azione che prevede una serie di iniziative – strettamente correlate ai principi strategici definiti nel Green Deal europeo – destinate a istituire un quadro di riferimento solido e coerente per definire prodotti, servizi e modelli imprenditoriali sostenibili e trasformare i modelli di consumo attuali in modo da evitare innanzitutto la produzione di rifiuti[16].

A titolo esemplificativo, costituiscono obiettivi di transizione ecologica:

a) la progettazione di prodotti sostenibili che durino più a lungo e siano concepiti per essere riutilizzati, riparati o aggiornati per il recupero delle proprie funzioni o sottoposti a procedimenti di riciclo ad elevata qualità, per il recupero dei materiali, in modo da ridurre l’impatto ambientale dei prodotti lungo il loro ciclo di vita (c.d. ecodesign);

b) la realizzazione di catene del valore a ciclo chiuso nella produzione ed utilizzo di componenti e materiali, anche sfruttando opportunità di riuso e riciclo cross-settoriali;

c) l’introduzione di modelli di sinergia tra sistemi industriali presenti all’interno di uno specifico ambito economico territoriale (c.d. simbiosi industriale), caratterizzati da rapporti di interdipendenza funzionale in relazione alle risorse materiali ed energetiche (ad es. sottoprodotti, rifiuti, energia termica di scarto, ciclo integrato delle acque);

d) l’introduzione di soluzioni tecnologiche per il recupero atte ad ottenere materie prime seconde di alta qualità da prodotti post-uso, in conformità con le specifiche di impiego nella stessa applicazione o in differenti settori;

e) l’introduzione di tecnologie e processi di disassemblaggio e/o remanufacturing intelligenti per rigenerare e aggiornare le funzioni da componenti post-uso, in modo da prolungare il ciclo di utilizzo del componente con soluzioni a ridotto impatto ambientale;

f) l’adozione di soluzioni e tecnologie per monitorare il ciclo di vita del prodotto e consentire la valutazione dello stato del prodotto post-uso al fine di facilitarne il collezionamento per il recupero di materiali e funzioni;

g) l’introduzione di modelli di business “prodotto come servizio” (product-as-a-service) per favorire catene del valore circolari di beni di consumo e strumentali.

Viene altresì precisato che i progetti di innovazione tecnologica ammissibili all’aliquota maggiorata di credito d’imposta dovranno perseguire obiettivi che vadano oltre gli standard ambientali già obbligatori secondo la disciplina comunitaria applicabile mentre, per quanto concerne le informazioni da inserire nella relazione tecnica accompagnatoria (prevista obbligatoriamente ai fini dei successivi controlli)[17] viene specificato che devono essere chiaramente desumibili:

·       gli obiettivi di transizione ecologica perseguiti o implementati;

·       la descrizione dello stato di fatto iniziale e la configurazione finale che verrà a determinarsi a seguito delle attività svolte;

·       la definizione di criteri qualitativi/quantitativi rilevanti per la valutazione del concreto conseguimento degli obiettivi di innovazione attesi.

“Criteri qualitativi/quantitativi rilevanti”: il vuoto da colmare fra la discrezionalità e le valutazioni oggettive.

Alla luce di quanto sopra esposto appare evidente l’urgenza per le imprese che vogliano godere dell’agevolazione descritta (senza il rischio di vedersi successivamente contestato il credito) di procedere innanzitutto ad un’attenta e dettagliata un’analisi che miri a valutare – sia sotto un profilo giuridico che tecnico – se le attività condotte in seno ad una specifica progettualità possano assumere rilevanza per l’OCSE (Manuale di Frascati e/o Manuale di Oslo). La riconducibilità alla prassi internazionalmente riconosciuta deve inoltre essere valutata in modo oggettivo e necessita di essere adeguatamente ed opportunamente argomentata per non cadere in errori o sviste nonché per tracciare le motivazioni che hanno portato una determinata attività ad essere battezzata come “agevolabile”.

L’esplicito riferimento a criteri quantitativi rilevanti per la valutazione del conseguimento degli obiettivi di transizione ecologica raggiunti, determina l’imprescindibile necessità per le imprese di provvedere a delle robuste ed oggettive misurazioni che siano in grado di dimostrare la corretta classificazione dei progetti di innovazione tecnologica cosiddetti “green”. A ben vedere però, il rimando della legge a generici requisiti essenziali (criteri qualitativi rilevanti), lascia una certa discrezionalità nella scelta di metodologie e strumentazioni per dimostrare il concreto conseguimento dei risultati attesi in termini di transizione ecologica: ebbene, tale discrezionalità rappresenta spesso per le imprese un nodo da sciogliere quando non un vero e proprio ostacolo ad una piena e corretta fruizione dell’incentivo economico a sostegno degli investimenti “green”.

 



[1] Legge n. 160/2019, art. 1, commi 198 – 209 (Credito di imposta per investimenti in Ricerca e Sviluppo, innovazione tecnologica ed altre attività innovative per la competitività delle imprese)

[2] Relazione illustrativa al DL del 26 Maggio 2020 del MISE, art. 5, comma 2.

[3] Legge n. 160/2019, art. 1, commi 200, 201 e 202.

[5] Nella Carta costituzionale italiana, ad esempio, non vi era un espresso riferimento all’ambiente fino alla attuazione dalla Legge Costituzionale n. 3 del 2001 che ha previsto la riforma titolo V – ed in particolare dell’articolo 117 – concernente la ripartizione della competenza legislativa tra Stato e Regioni.

[6] Art. 3, par. 3 T.U.E.

[7] https://en.upbilancio.it/wp-content/uploads/2022/11/Focus-8_2022-Incentivi-a-RS.pdf Ufficio parlamentare di bilancio (2021), Audizione del Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio nell’ambito delle audizioni preliminari all’esame del disegno di legge di bilancio per il 2022, 23 novembre 2021.

[8] Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 1.

[9] Legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1.

[10] Legge 160/2019, art. 1, commi 198-207.

[13] Legge 160/2019, art. 1, comma 200.

[15] Legge 160/2019, art. 1, comma 203.

[17] Legge 160/2019, art. 1, comma 206.

 

Autore

  • Walter D’Alò

    Da più di vent'anni nel mondo dei servizi. Ho cominciato il mio percorso lavorativo in una società di credito al consumo per poi occuparmi, da 12 anni a questa parte, della proposta di servizi consulenziali alle imprese su temi legati agli incentivi ed agevolazioni. Ho avuto modo di approfondire e conoscere da vicino le logiche operative tipiche dell'industria manifatturiera alle prese con i cambiamenti e le rivoluzioni digitale 4.0 e "green".

a

Magazine made for you.

Featured:

No posts were found for provided query parameters.

Elsewhere: