Il Greenwashing aziendale

Paolo Neri, Relationship Manager Warrant Hub

 

I risultati raccolti nel 2021 riportano che nel 42 % dei casi vi era motivo di ritenere che le affermazioni fossero esagerate, false o ingannevoli e potessero potenzialmente configurare pratiche commerciali sleali a norma del diritto comunitario.

 

Oggi “essere green” è molto di moda. Alcune aziende pensano infatti che basti far finta di dimostrare un attaccamento anche vago all’ambiente e al pianeta per guadagnare punti in termini di reputazione e di immagine aziendale. Questo è il fenomeno del greenwashing. Di cosa si tratta nello specifico? 

Si tratta di una strategia di comunicazione adottata da imprese o organizzazioni di qualsiasi natura che comunicano un impegno e un attaccamento alle politiche ambientali che in realtà non esiste. Lo fanno perché in questo modo la loro immagine migliora, diventa positiva sotto il profilo della sostenibilità e attraggono i consumatori che si riconoscono in quei valori, seppur inconsistenti. Questo fenomeno emerge in maniera evidente dall’indagine svolta ogni anno dalla Commissione Europea per individuare violazioni del diritto dell’Unione in materia di tutela dei consumatori.  I risultati raccolti nel 2021 riportano che nel 42 % dei casi vi era motivo di ritenere che le affermazioni fossero esagerate, false o ingannevoli e potessero potenzialmente configurare pratiche commerciali sleali a norma del diritto comunitario. Nello specifico: 

  1. in oltre la metà dei casi, il commerciante non aveva fornito ai consumatori informazioni sufficienti per valutare la veridicità dell’affermazione; 

  2. nel 37 % dei casi, l’affermazione conteneva formulazioni vaghe e generiche, come “cosciente”, “rispettoso dell’ambiente”, “sostenibile”, miranti a suscitare nei consumatori l’impressione, priva di fondamento, di un prodotto senza impatto negativo sull’ambiente; 

  3. inoltre, nel 59 % dei casi, il commerciante non aveva fornito elementi facilmente accessibili a sostegno delle sue affermazioni. 

Sempre lo scorso anno, poi, il 26 novembre, è stata emessa la prima ordinanza cautelare di un Tribunale italiano in materia di greenwashing, un atto che risulta essere tra i primi anche in Europa. All’azienda condannata, è stata ordinata la cessazione della diffusione dei seguenti claim: “La prima microfibra sostenibile e riciclabile”, “100% riciclabile”, “Riduzione del consumo di energia e delle emissioni di CO2 dell’80%”, “Amica dell’ambiente”, “Scelta naturale” e “Microfibra ecologica” e di “informazioni non verificabili ed ingannevoli sul contenuto di materiale riciclato del prodotto”. 

Il Tribunale ha inoltre ordinato la pubblicazione della decisione sul sito aziendale e l’invio dell’ordinanza ai clienti, il cui testo risulta essere particolarmente inequivocabile: «La sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto […] le dichiarazioni ambientali verdi devono essere chiare, veritiere, accurate e non fuorvianti, basate su dati scientifici presentati in modo comprensibile». 

Questo è il motivo principale per cui ogni azienda che parla di sostenibilità debba farlo in maniera consistente, impostando la propria comunicazione su dati ed informazioni coerenti e misurabili. 

Così come per il metodo scientifico, anche per la sostenibilità diventa imprescindibile il tema della misurazione, che deve avvenire secondo framework e metodologie riconosciute a livello internazionale. Dopo aver conosciuto il significato e le conseguenze del termine greenwashing, le imprese impareranno presto nuove parole, come Carbon Footprint, Indice di Circolarità e Materialità. Scommettiamo? 

Autore

  • Paolo Neri

    Relationship Manager di Warrant Hub – Tinexta Group e coordinatore del progetto Warrant GARDEN (Green Advanced technology Research and Development Economy), che si occupa della consulenza e dell’orientamento in tema di sostenibilità per le imprese. Laureato in Economia e Gestione delle imprese, dopo un’esperienza in ambito bancario, è entrato in Warrant Hub nel 2003, occupandosi dapprima di Business Development, per poi passare allo sviluppo di partenariati e di relazioni con le istituzioni europee nell’ambito di progetti e programmi UE per la ricerca e l'innovazione. Promotore della Digigreen Innovation e autore di diversi articoli sul tema della transizione digitale e verde, è docente dell’Online Certification Program for Digigreen Professionals del MIP Politecnico di Milano e del Master Executive SUSTMAG di Unitelma Sapienza. Da gennaio 2021 è membro del comitato tecnico scientifico di MADE – Competence Center Industria 4.0.

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