RIFIUTI INDUSTRIALI, L’ITALIA PERDE 1 MILIARDO L’ANNO
Angelo Vitale, Coordinatore del web magazine “nonsologreen”
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Quanto costa al nostro Paese sprecare l’Industrial Waste?
La risposta è netta, il dato è tondo: 1 miliardo di euro all’anno. Questo l’importo collegato ad un gap che l’Italia deve scontare a causa dell’assenza di una strategia nazionale e di investimenti per dotare il paese di una sufficiente rete di impianti di trattamento.
La conseguenza più immediata? Un export forzato di significative quantità di rifiuti derivanti da attività industriali. All’estero al contrario sanno cosa farsene: li trasformano in nuove materie prime e in energia.
Un deficit grave, che ritorna prepotentemente in primo piano rilanciato da Asso Ambiente alla luce di un quadro economico ed energetico pesantemente condizionato, in Italia e in Europa, prima dall’emergenza sanitaria causata dal Covid e poi – tuttora – dal conflitto russo-ucraino.
L’Associazione Imprese Servizi Ambientali ed Economia Circolare lo fa sulla scorta del suo Report “Ambiente, Energia, Lavoro – La centralità dei rifiuti da attività economiche” pesante come un macigno, a volgere per un attimo lo sguardo all’affanno della manovra dei Governi europei per individuare fonti energetiche utili al fabbisogno di ogni Stato e per liberarsi dal condizionamento delle forniture russe di gas.
Nel 2019 – questi i più recenti dati disponibili per i rifiuti – la produzione in Italia ha superato quota 193 milioni di tonnellate. Tra questi, 163 milioni sono speciali (cioè provenienti da attività industriali) e circa 30 sono urbani.
Una quota elevata. La prima frazione rappresenta quasi l’85% della produzione complessiva di rifiuti che supera di 5 volte quelli urbani. Numeri che stanno plasticamente a raccontare il valore strategico di un loro possibile trattamento “in casa”, sia in termini economici che ambientali.
Al metto dei rifiuti edili, nel 2019, gli speciali sono stati 111 milioni di tonnellate. I rifiuti direttamente prodotti dalle attività economiche sono stati circa 65 milioni di tonnellate. Di questi, oltre 36 di tonnellate (pari al 55%) sono stati prodotti dalle aziende manifatturiere. La parte del leone la fanno con evidenza le regioni del Nord Italia, caratterizzate da numerose realtà produttive e per la relativa dotazione impiantistica dedicata alla gestione degli scarti prodotti. In testa, la Lombardia (con 23 mln di tonnellate di rifiuti speciali prodotti). A seguire, Veneto (12), Puglia (11), Emilia-Romagna (10), Piemonte (7), Toscana (7) e Lazio (7).
Gli italiani, sulla carta, sarebbero tra i migliori – nel riciclo e recupero di rifiuti speciali. Nel 2019 il 65% delle oltre 109 mln di tonnellate di rifiuti speciali gestiti è stato avviato a recupero (di materia e di energia) ed il 35% ad operazioni di smaltimento (incenerimento, discarica, stoccaggio finalizzato allo smaltimento finale o altre operazioni come il trattamento chimico-fisico).
Ci sono, poi, oltre 15 milioni di rifiuti speciali che vanno in discarica, soprattutto al Centro e al Sud. E 7 milioni di rifiuti avviati agli impianti di incenerimento o recupero energetico. Di questi, 1 milione di tonnellate va all’incenerimento, 6 verso cementifici, impianti privati di incenerimento di scarti produttivi e di processo industriali o di produzione di energia elettrica con biogas da discarica o da impianti di compostaggio.
Gli impianti ci sono, 11.200, per trattare i rifiuti speciali. Ma c’è un forte disequilibrio territoriale e di intensità regionale. Ad esempio, la Puglia con circa 11 milioni di tonnellate di rifiuti speciali prodotti ne ha 612. Il Veneto, al Nord, con 12 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, ne ha 1.190.
Quali, i Paesi che godono del nostro deficit organizzativo? Nel 2019 hanno superato i confini nazionali oltre 4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali prodotti in Italia, al 50% arrivate in Germania, Austria, Francia, Svizzera e Slovenia (la Germania per 800mila tonnellate). Cosa ne fanno? Il 23% dei rifiuti esportati va in impianti di incenerimento o recupero energetico, il 14% in discarica o in altre operazioni di smaltimento. Il 63% serve a recuperarne nuove materie.
Come costruire un nuovo scacchiere che trattenga in Italia il miliardo di euro che perdiamo ogni anno? Secondo Asso Ambiente, l’Italia ha un fabbisogno impiantistico superiore a 10 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno e un fabbisogno cumulato nei cinque anni (2021-2025) di circa 34 milioni di tonnellate.
Se non si mette mano a questo si continueranno a perdere risorse, possibilità occupazionali, produzione di materie prime ed energia. E – fattore non di ultimo conto – anche di gettito fiscale in riferimento al mancato trattamento dei rifiuti sul territorio nazionale.
Ultima amara ciliegina sulla torta dell’inefficienza nazionale, il conto di quanto si perde, in questa situazione, in possibile energia elettrica generabile dai rifiuti: tra i 330mila e 400mila MWh all’anno. Cioè fra 40 e 60 milioni di euro.
Cosa altro valutare per intervenire? Occorre, secondo Asso Ambiente, “un quadro normativo rigoroso, ma inequivocabilmente applicabile, che, in condizioni di sicurezza per l’ambiente e per la salute, favorisca ove possibile la trasformazione dei rifiuti in materia, attraverso specifici processi end of waste“.
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